Scienza ed esplorazioni
Il telescopio è riuscito a scorgere 37 piccoli frammenti rocciosi in fuga dall'asteroide Dimorphos, scagliati via dall'impatto con la sonda Dart

Il telescopio è riuscito a scorgere 37 piccoli frammenti rocciosi in fuga dall’asteroide Dimorphos

Il 26 settembre 2022 (27 settembre, ora italiana) la Nasa ha tentato un’impresa mai compiuta prima: modificare intenzionalmente l’orbita di un asteroide. Durante questo primo test di difesa planetaria, la sonda DART si è schiantata a circa 24.000 Km/h sull’asteroide Dimorphos, modificando leggermente la sua orbita attorno all’asteroide più grande Didymos.

Il test è stato un successo, come dimostrano le straordinarie immagini riprese dalla sonda Dart prima dello schianto.

Le immagini di Hubble

Il telescopio spaziale Hubble, di Nasa e Agenzia Spaziale Europea, in seguito alla missione, ha continuato a monitorare occasionalmente i cambiamenti dell’asteroide ed è riuscito a scorgere e immortalare 37 piccoli frammenti rocciosi espulsi da Dimorphos a seguito del forte impatto.

Il professor David Jewitt dell’Università della California a Los Angeles e primo autore dell’articolo pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal Letters in cui si esaminano i dati di Hubble, ha dichiarato che l’impatto ha prodotto non solo una nuvola di polvere ma ha sollevato anche “uno sciame di rocce che trasportano massa ed energia lontano dal bersaglio dell’impatto“.

Si tratta di oggetti che variano da 1 metro a 6,7 metri di diametro e che viaggiano a circa 1 Km/h, rientrando probabilmente tra i più piccoli e deboli mai osservati da un telescopio all’interno del Sistema Solare. La massa totale in questi massi rilevati è circa lo 0.1% della massa totale di Dimorphos.

L’origine dei sassi di Dimorphos

Secondo i ricercatori, i sassi spaziali fotografati da Hubble non si sono originati al momento dell’impatto ma erano già presenti sull’asteroide in precedenza e la sonda Dart ha solo contribuito a spargerli nello Spazio.

L’indizio principale di questa ipotesi sono le ultime immagini scattate proprio dalla sonda a distanza ravvicinatissima poco prima dello schianto, quando si trovava a soli 11 chilometri dalla superficie. Queste immagini, infatti, mostrano come l’asteroide fosse già coperto da numerosi massi di dimensioni compatibili a quelle fotografate da Hubble. Secondo i modelli di formazione, Dimorphos sarebbe infatti un cumulo di macerie spaziali tenute insieme da una debole forza di gravità.

L’ultima immagine completa della superficie dell’asteroide Dimorphos, scattata dall’imager DRACO a bordo della sonda DART poco prima dell’impatto. Credits: NASA, APL
L’ultima immagine completa della superficie dell’asteroide Dimorphos, scattata dall’imager DRACO a bordo della sonda DART poco prima dell’impatto. Credits: NASA, APL

Non è ancora chiaro come queste rocce si siano sollevate dalla superficie dell’asteroide e scagliate nello spazio. Potrebbero far parte di un pennacchio di materiale espulso subito dopo l’impatto, già fotografato da Hubble e da altri osservatori, oppure un’onda sismica provocata dall’impatto potrebbe aver attraversato l’asteroide facendo staccare le macerie in superficie.
Il team che ha osservato questi massi con Hubble stima che l’impatto abbia scosso il 2% dei massi presenti sulla superficie dell’asteroide.

La missione Hera

Questa scoperta, oltre a fornire informazioni preziose sul comportamento di un piccolo asteroide quando viene colpito da un “proiettile”, prepara la strada alla missione Hera dell’Esa, il cui lancio è previsto nel 2024, che dovrà eseguire una dettagliata indagine sulle conseguenze dello scontro tra Dimorphos e Dart con l’obiettivo di trasformare l’esperimento in una tecnica di difesa planetaria ben compresa e ripetibile.

Quando la missione Hera visiterà Dimorphos e Didymos “La nuvola di rocce si starà ancora disperdendo – ha affermato Jewitt -. È come uno sciame di api in espansione molto lenta, che alla fine si diffonderà lungo l’orbita della coppia binaria attorno al Sole. Se seguiamo i massi nelle future osservazioni, allora potremmo avere dati sufficienti per definire le traiettorie precise dei massi. E poi vedremo in quali direzioni sono stati lanciati dalla superficie.

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Fonti e approfondimenti