Ambiente e Clima
inquinamento microplastiche mar mediterraneo

La ricerca sul Mediterraneo è stata condotta dall’Istituto di Scienze e Tecnologie Ambientali dell’Università di Barcellona

Delle microplastiche si inizia a parlare sempre di più. Inizialmente denunciato solo dalle varie associazioni ambientaliste, adesso anche istituzioni e cittadini hanno iniziato a prendere coscienza di questo problema che sta avvelenando mari e oceani, insieme alle specie che vi abitano.

Sono ormai tantissimi gli studi volti a dimostrare la loro pericolosità e la loro presenza sempre più massiccia delle acque di tutto il mondo.

Un recente studio condotto dall’Istituto di Scienze e Tecnologie Ambientali dell’Università Autonoma di Barcellona (ICTA-UAB) ha però evidenziato come l’inquinamento da microplastiche potrebbe essere addirittura più grave di quanto si immagini.

Cosa sono le microplastiche

Con microplastiche vengono definiti tutti quei frammenti di plastica praticamente invisibili a occhio nudo, il cui diametro è inferiore ai 5 millimetri. Essendo così piccoli non riescono ad essere filtrati dai sistemi di depurazione delle acque e, a causa dei loro tempi di degradazione molto lunghi, raggiungono terreni, fiumi e mari, persistendo nell’ambiente.

Queste minuscole particelle possono derivare dalla rottura di oggetti più grandi o possono entrare direttamente nell’ambiente marino come granuli, pellet o fibre. È ormai risaputo che le microplastiche possono agire come vettori di sostanze chimiche additive, inquinanti organici e metallici accumulati dalle acque circostanti. Inoltre, essendo della stessa dimensione di molti organismi planctonici, l’ingestione di microplastica causa molti problemi alla fauna marina. Con conseguenze facilmente prevedibili anche per la salute umana.

Il Mediterraneo: una “zuppa di plastica”

Il Mar Mediterraneo è uno dei mari più inquinati dalla plastica: l’analisi di campioni di acqua provenienti sia da zone turistiche sia da zone marine protette ha riscontrato livelli di microplastiche paragonabili a quelli dei famosi “vortici di plastica” dell’Oceano Pacifico.

Sono state trovate microplastiche e macroplastiche praticamente ovunque, dalla superficie ai fondali e lungo l’intero perimetro costiero. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che si tratta di un mare chiuso, le cui coste sono densamente popolate, la pesca è intensiva e sono particolarmente rilevanti le attività di navigazione, le attività turistiche e quelle industriali. Inoltre, ad aggravare la situazione contribuisce il limitato deflusso di acque superficiali verso l’Oceano Atlantico.

Lo studio

L’ampia diversità di tecniche e metodi scientifici utilizzati dai vari team di ricerca nello studio dell’inquinamento da microplastiche nel Mar Mediterraneo paradossalmente limita l’attuale conoscenza di questo grave problema ambientale che minaccia i nostri ecosistemi marini.

Si può riassumere così la conclusione dello studio realizzato dal team di ricercatori catalani che hanno passato in rassegna le ricerche effettuate in passato per misurare la presenza di microplastiche nelle zone costiere, nelle acque profonde e nei sedimenti del Mar Mediterraneo.

I livelli di microplastiche nel Mediterraneo sono probabilmente più elevati di quanto stimato, ma attualmente i metodi a disposizione non sono in grado di registrarli.

Lo studio afferma che i metodi utilizzati nei laboratori per il campionamento delle microplastiche marine sono molto diversi, “e anche se questo significa che negli anni abbiamo avuto tanti progressi scientifici e tecnologici, vuol dire pure che molti dei dati prodotti finora non possono essere confrontati tra loro” – spiega Laura Simon, ricercatrice dell’ICTA-UAB e prima autrice dello studio, pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Pollution.

Secondo la ricerca, dei 3.000 campioni raccolti nell’ultimo decennio, circa l’82,8% è stato preso in zone costiere. Questo si traduce per gli scienziati in una ridotta quantità di informazioni sulla distribuzione delle microplastiche in mare aperto. Un altro dato da considerare riguarda le reti utilizzate per campionare le acque superficiali: con una maglia di circa 200 micron non sono in grado di intrappolare le particelle più piccole.

Gli studi condotti finora suggeriscono che il Mar Mediterraneo contiene:

  • circa 84.800 microplastiche per chilometro quadrato nelle acque superficiali;
  • circa 300 microplastiche per chilogrammo di sedimento marino;
  • circa 59 microplastiche per chilogrammo di sabbia in spiaggia.

“Il numero di microplastiche nell’ambiente naturale aumenta al diminuire delle loro dimensioni, quindi i loro livelli sono probabilmente più alti ma a causa dei metodi che abbiamo ora a disposizione non siamo in grado di registrarli” – spiega la dottoressa Patrizia Ziveri, responsabile della ricerca dell’ICTA-UAB.

La maggior parte della plastica galleggia in mare. Tuttavia, il fondale marino viene considerato come la “discarica finale” ovvero il luogo dove le microplastiche si accumulano. “Sono ancora poche le informazioni sui meccanismi di moto delle microplastiche, dalle acque superficiali ai fondali marini. Sono quindi necessari più studi su come le materie plastiche riescano a degradarsi alla luce solare e si diffondano su tutta la colonna d’acqua” – afferma il dottor Michael Grelaud, ricercatore dell’ICTA-UAB.

Lo studio si conclude sottolineando l’importanza di definire un quadro comune per poter confrontare i risultati e combinare i metodi per essere in grado di caratterizzare maggiormente l’ampia gamma di inquinanti plastici presenti nel Mar Mediterraneo e i loro impatti potenziali.

Solo cooperando e condividendo le conoscenze con tutti gli attori: ricercatori, rappresentanti dell’industria, cittadini, si potrà raggiungere un certo grado di consapevolezza e coinvolgimento attivo per cercare di arginare il problema delle microplastiche in mare.

>> APPROFONDIMENTI: